Il cuore oltre

Ci sono strategie che adotto in modo automatico quando ho una cosa importante,  magari mischiata a cose meno, quando insomma devo ridurre il rumore al contorno per concentrarmi su “quella” cosa, per risparmiare energie. 

E allora la mia dispensa diventa la sagra del “mettere il prodotto ancora surgelato…”, i vestiti diventano monotoni, la messa in piega non esiste. 

Poi arriva la fase del cuore oltre, e allora metto la sveglia per ricordarmi di uscire prima per la palestra nei giorni dopo l’evento, o cerco i negozi per i souvenir per quando tornerò a Casa. 

E mentre faccio questo, il solito senso di colpa per la mia perdita di concentrazione. 

Ogni maledetto evento. 

Arcobaleni

L’E-arch (precedentemente noto solo come Archietto) e io siamo arrivati ieri: relativamente tranquilli, mortalmente stanchi. E oggi siamo stati all’ikea.
Non so se sia assurdo o confortante, ma ho comprato le stesse cose che avevo a Vienna, a Venezia Castello, a Milano, a Venezia terraferma. Gli stessi identici prodotti (e qui potremmo aprire un pippone sul design, ma anche no).
Cose leggere e a poco prezzo, sintomo di pochi soldi e alloggi temporanei.
Si ripresenta insomma un assetto variabile e transitorio, per un obiettivo finale più grande, che è un po’ il leitmotiv della mia vita, pur dovendo far perno su un reparto di neurologia.
E queste cose renderanno la stanza meno estranea e il trasloco meno traumatico, in attesa di creare una routine.

Dovrei scrivere al signor ikea, per informarlo del valore di costanza e risorsa di certezze che hanno molti suoi prodotti. Magari gli fa piacere saperlo.

RECTIUS: il post è stato scritto il 30 luglio. Non so perché non si sia caricato prima. Uff.

Celebration

Io ho una pagina facebook e l’altro giorno nella serie “oggi anni fa” mi è apparso un post in cui gioivo per il cambio di terapia: dal copaxone (un’iniezione giornaliera), all’azatioprina (una pastiglia giornaliera).
E gioivo per cose come l’uso dello scrub corpo, le docce calde, il poter decidere all’ultimo che sarei stata fuori fino a tardi la sera senza passare per casa, lo spazio in più in frigo…
Sembrano cavolate. Sono cavolate! Specialmente dopo aver visto Elena.
E ora un po’ me ne pento.
Ma sono anche felice: se posso gioire per certe cazzate, significa che non dovrei lamentarmi proprio per niente!

Piccola piccola

Ho detto a una collega della sclerosi.
Sono mezza svenuta in ufficio.
Ho visto una cara amica devastata dal decorso della sclerosi e non sono riuscita a piangere tutto il mio dolore per lei finché non sono andata dalla Psycho.
Sono debole.
Sono stanca.
Sono preoccupata per mille cose e niente.

E la psycho dice che devo darmi il tempo e lo spazio di essere piccola.

Posso farcela.
Non so come, ché non ce la faccio ora che ho tutto lo spazio per me.
Posso farcela.

Tegole

Il papà dell’Architetto ha avuto un infarto. Un brutto infarto.
L’hanno preso per i capelli, ma l’hanno salvato
E ovviamente l’Architetto è rientrato.
Gli ho chiesto come stesse, come si sentisse: “Giù, in un momento bellissimo e affollatissimo di impegni cade sta tegola sulla testa”.
È esattamente la mia diagnosi. Solo un po’ più drastica.
Oggi poi in una trasmissione radio hanno parlato di esperienze di ritorno alla normalità dopo una tragedia. Non sono riuscita a seguire la trasmissione, ero emotivamente troppo esposta, ma ho riflettuto su di me.
E per me la chiave è stata il compromesso. Con me stessa, le mie forze, le mie priorità.
È stato, è ancora e sarà spesso umiliante, ma l’alternativa è molto, molto peggio.

L’ha detto anche il fisiatra.

Sono una cattiva persona

E insomma c’è questa cosa al lavoro. Una selezione per un posto al quale ambisco tanto tanto tanto tantissimo.
Non siamo in tanti ad avere le caratteristiche richiesta: lauree specifiche, lingue, una precisa esperienza, un’ottima dose di flessibilità… non tanti tra i tempi indeterminati.
Ma tra i tempi determinati sì. Praticamente tutti! Sapete: le nuove generazioni sono mediamente più titolate, se non altro per battere la concorrenza.
Comunque una mia grande amica, determinata e maledettamente brava, mi ha detto che avrebbe voluto concorrere, ma che, appunto, è solo per gli indeterminati. E non è l’unica.
E io ho ho tirato un sospiro di sollievo: con quei concorrenti non avrei avuto alcuna chance.

E a quanto pare sono anche una persona mediocre.

Bugie

Sapete quella “quel che non ci uccide ci rende più forti”?
Ecco: è una stronzata.
Ce lo dicono per addolcire la pillola, per farci accettare quello che la mente rifiuta, per farci sopportare un dolore troppo grande per noi, per mantenerci lucidi quando non faremmo altro che vacillare.
E così facendo ci tolgono il diritto di essere arrabbiati, di odiare il mondo, di piangere la nostra paura e la nostra angoscia e la nostra solitudine di fronte al nostro pane, al nostro destino.

Mia mamma mi raccontava spesso che a una mia lontana zia, alla quale era morto un figlio, il parroco del paese aveva detto di non piangere, che dio non voleva. E lei ha ubbidito. Perdendo anche il conforto della disperazione.
Che c’entra?
C’entra.
C’entra che io ero già forte. Io ero già dura. E lo sapevo già.
E con me mille mila altre persone.

8 novembre

Ero indecisa tra un post faceto e allo stesso tempo profondo, e un post lamentatio sui lamenti altrui.
Sapete cosa? È il vostro giorno fortunato…

Insomma il trasloco è fatto, la maggior parte degli scatoloni sono stati svuotati e l’abbonamento ai mezzi è diventato un vezzo.
Però la nuova camera ha un problema: non vedo libri quando mi sveglio. Leggo, certamente, li ho negli scaffali che fanno da testiera al letto, intorno a me quindi, ma aprire gli occhi e vedere una piletta di 4/5 libri sul comodino è un’altra cosa.

Urge salto all’ikea, che ormai odio con tutta me stessa, nella speranza che abbiano un microcomodino, perché la larghezza massima è una spanna. O una soluzione alternativa. Ma ci devono stare i libri e possibilmente qualche strafanto inutile ma di conforto.

Un comodino, un comodino, il mio regno per un comodino.

La patente

La sclerosi multipla porta con sé (tanti) problemi di salute, (costanti) incomprensioni e ferite, (scadenzate) rogne burocratiche.
Come la patente: per noi scade ogni 2 anni. Al massimo. A prescindere dall’effettiva disabilità.
Quindi bisogna prendere appuntamento con la commissione medica, portare una foto e due esami (da pagare per intero), pagare un 60 euro tra diritti e bolli, prendere il numerino e mettersi in fila il giorno stabilito.
È una procedura che O D I O.
Innanzitutto la domanda può essere fatta solo di persona (una volta c’era il fax, ma ora non c’è più) o per posta (rischiando di perdere il plico? E i soldi? Anche no). Poi l’ufficio dove fare domanda è in un posto irraggiungibile dai mezzi: tempo e fatica sotto la canicola agostana, per poi scapicollarsi in ufficio.
E poi l’umiliazione massima: vecchietti che a mala pena sanno dove sono hanno il rinnovo di 5 anni.

Perché è ovvio che io non aspetto altro che una neurite ottica o una parestesia alla gamba per mettermi alla guida.

Fenomenologia della stanchezza

Antefatto che fu: quando ero bimba, soffrivo di frequenti mal di testa e nausea. Erano, ho scoperto dopo (da sola, perché i medici sono il male) coincidenti con momenti di forte stress/stanchezza [soffrivo già di ansia e andavo a scuola a 30km da casa].
Antefatto recente: sono arrivati due nuovi colleghi, che sono svegli e veloci e io sto facendo formazione. Ma siccome sono svegli e veloci, e io fuori allenamento, e fa tanto caldo, sento l’impegno.
Insomma arrivo a sera morta.
E ultimamente sono tornati mal di testa e nausea.
Non so se gioirne, tipo “evvai non è la sclerosi”.
O se rammaricarmi, del tipo “ma schifo non bastava la sclerosi, pure la nausea??”.

Non so proprio.
Nel dubbio mi butto a letto.