Oggi un altro ricordo, il peggiore: la rachicentesi.
O meglio: il giorno prima. La diagnosi ai miei.
In mattinata un neurologo, che per comodità in questa sede chiameremo “il coglione”, mi chiama nel suo studio da sola e comincia a parlarmi del fatto che hanno dei sospetti. Non menziona mai la sclerosi, ma la prende talmente larga e vaga che io non capisco nulla e vado nel panico dopo meno di dieci minuti.
E non per dire: un vero attacco di panico con tutti i crismi. Tanto che il coglione chiama un infermier* e mi portano al mio letto. E vai di en.
Io appena riesco a parlare chiamo mia mamma, che si fionda in ospedale con mio papà e va diretta dal coglione, che stava per darmi la diagnosi da sola .
E dopo, non saprei dire quanto, mia madre entra in camera con un sorriso spalmato sul viso. E da quel giorno non mi ha più lasciata, passando le sue giornate in ospedale. Mi lasciava solo per la notte, e pure a fatica.
Mio padre non ce l’ha fatta, l’ho visto ben più tardi. Mio padre ancora non ce la fa.
Tutto questo l’ho ricostruito tempo dopo: lì per lì non ho collegato la presenza di mia madre ad un aggravarsi della situazione.
Ma so che quell’espressione e quel sventolare la mano di mia mamma quando entra in camera non li dimenticherò mai.
Meno 5.