Il cuore oltre

Ci sono strategie che adotto in modo automatico quando ho una cosa importante,  magari mischiata a cose meno, quando insomma devo ridurre il rumore al contorno per concentrarmi su “quella” cosa, per risparmiare energie. 

E allora la mia dispensa diventa la sagra del “mettere il prodotto ancora surgelato…”, i vestiti diventano monotoni, la messa in piega non esiste. 

Poi arriva la fase del cuore oltre, e allora metto la sveglia per ricordarmi di uscire prima per la palestra nei giorni dopo l’evento, o cerco i negozi per i souvenir per quando tornerò a Casa. 

E mentre faccio questo, il solito senso di colpa per la mia perdita di concentrazione. 

Ogni maledetto evento. 

Vuote giornate indaffarate

Lavoro 9 ore al giorno, ma non mi sento di fare nulla.
Nulla si chiude, nulla va avanti. Eppure giuro che arrivo a casa ridotta ad uno straccio.
Il 12 ottobre c’è l’evento che mi è capitato tra capo e collo e per il quale ho dovuto ricominciare da zero, visto che il caro collega ha pensato bene di portarsi via ogni file e traccia del lavoro svolto nell’anno.
Chiuso questo, inizierà un altro ciclo.

Nel frattempo faccio asciugatrici e studio, ché lunedì c’è compito.

Celebration

Io ho una pagina facebook e l’altro giorno nella serie “oggi anni fa” mi è apparso un post in cui gioivo per il cambio di terapia: dal copaxone (un’iniezione giornaliera), all’azatioprina (una pastiglia giornaliera).
E gioivo per cose come l’uso dello scrub corpo, le docce calde, il poter decidere all’ultimo che sarei stata fuori fino a tardi la sera senza passare per casa, lo spazio in più in frigo…
Sembrano cavolate. Sono cavolate! Specialmente dopo aver visto Elena.
E ora un po’ me ne pento.
Ma sono anche felice: se posso gioire per certe cazzate, significa che non dovrei lamentarmi proprio per niente!

Piccola piccola

Ho detto a una collega della sclerosi.
Sono mezza svenuta in ufficio.
Ho visto una cara amica devastata dal decorso della sclerosi e non sono riuscita a piangere tutto il mio dolore per lei finché non sono andata dalla Psycho.
Sono debole.
Sono stanca.
Sono preoccupata per mille cose e niente.

E la psycho dice che devo darmi il tempo e lo spazio di essere piccola.

Posso farcela.
Non so come, ché non ce la faccio ora che ho tutto lo spazio per me.
Posso farcela.

Finalmente a casa

Da un mese a questa parte sto lavorando tanto e in modo squilibrato.
Al lavoro retribuito alterno i picchi isterici di Zorro, il mio diretto superiore, al nulla totale.
Al lavoro non retribuito, quello per l’Architetto che è in fase di formazione all’estero, sono circondata da storditi incapaci di allacciarsi le scarpe ed è sostanzialmente impossibile un minimo di ottimizzazione e quindi per fare due cavolate ci metto ore.
Poi ho i check in e via di Cenerentola.
Insomma tutte queste parole per dire che sono molto stanca e ieri sera sono andata a letto con un libro. Mi sono messa a leggere con la luce accesa e mi sono risvegliata stamattina che la luce era spenta.
Insomma ho spento la luce senza svegliarmi.
E questo per me è inequivocabile segno di casa.

Colpe e colpi

Oggi era serata fitness.
Per la prima volta da quando ho iniziato piscina anni fa sono stata incapace di seguire la lezione, troppo stanca. Troppo debole.
Possiamo dare la colpa al carico di lavoro eccessivo in questo momento.
Possiamo dare la colpa al non aver dormito molto.
Possiamo dare la colpa al biscotto* mangiato meno di mezz’ora prima di iniziare.
In realtà sono tutti modi per non ammettere che alla stronza oggi girava così, e che mi ha messa sotto.
Lei decide e io devo star zitta e adeguarmi.

Meglio cominciare a farsene una ragione, anche se non mangerò più un biscotto prima di entrare in acqua.

*Frolla, ma con grano saraceno: molto sano!

Neuroangoscia

La mia non è una Neurologa. È una NaziNeuro.
“Vieni in ospedale martedì”
“Ma veramente io devo fare un intervento in un seminario… possiamo fare mercoledì?”
“Tu vieni in ospedale quando te lo dico io”.
In ospedale: “facciamo il farmaco”
“Ma veramente io pensavo di farmi il farmaco venerdì così non ho ripercussioni sul lavoro che col weekend poi…”.

Alla fine ho spuntato il pomeriggio, ma sempre martedì (für die Katze, direbbero i tedeschi).
E però il farmaco lo faccio di venerdì.

Tiè.

Anche l’occhio vuole la sua parte

Oggi ho fatto il prelievo. L’ultimo per un bel po’. Credo. Spero.
Comunque al day hospital ci sono stati un sacco di cambiamento. No in realtà ce n’è stato uno solo, ma sostanziale: hanno tolto qualunque cosa che non fosse ospedaliera.
E ora è un posto freddo e squallido.
Sono spariti i libri, sono sparite le bomboniere (c’era pure la mia), sono spariti biscotti e fette biscottate e macchinetta per il caffè, rimane la tv, credo perché disinstallarla sia un casino.
Ora io non voglio essere polemica, ma credo che protesterò formalmente: un ambiente caldo e accogliente aiuta ad affrontare la terapia. Non credo sia un’opinione, credo sia una cosa assodata…
L’ospedale non guarisce, figurati lo squallore.

Passata anche questa

Il decennale della diagnosi è passato “un po’” sotto silenzio.
Ovviamente c’erano cose più importanti: la casa ovviamente. E niente: è passato silenzioso ed ignorato. Pace.
Però venerdì siamo andati a vedere “Più forte del destino. Tra camici e paillette. La mia lotta alla sclerosi multipla”, lo spettacolo di Antonella Ferrari.
Titolo un po’ lungo, meno lo spettacolo, ma bello e toccante, e l’architetto quasi sveniva al racconto della rachicentesi. Lo spettacolo è piaciuto anche a lui: vorrei pensare che qualcosa stia cambiando, ma il buon senso mi dice che no.

Ed ora arriva l’ansia

Un buon compliricovero a me! a me! a me! a me!
Ecco lo scoglio, il giro di boa, le colonne d’ercole, le forche caudine.
Il decimo anno.
E a dieci anni dalla diagnosi succede che […completare con sfighe a piacere…].
E invece no. O meglio: boh.
Nel senso che sono due giorni che ho un fortissimo mal di testa e che mi sento molto stanca; che so che mi aspettano 12 lunghi giorni di tristezza sparsa (grazie AB per l’en).
Ma è l’anniversario, bellezza.
Quest’anno, come ogni anno, ho inzuppato la settimana di cose da fare: magari stavolta funziona. 
Ma soprattutto ho deciso di mandare il mio cv al dirigente che dirige la direzione dove vorrei lavorare: prendiamo il toro per le corna e mal che vada dice no grazie.
E domani se sono tanto triste dopo pranzo vado in casa nuova.

Brindiamo tutti insieme con un altro po’ di tea.