Scusa il tuo nome… ?

Ogni tanto dico all’Architetto che per lui sono un’estranea, perché è talmente concentrato su se stesso e sul suo ombelico, che non mi conosce.
Io intuisco il suo umore da come cucina, e da quanto è sveglio dal naso, lui no, zero. Non sa nulla di me.
Volete un esempio?
Prendo felicemente l’azatioprina dalla primavera del 2012. Da allora ogni santo mese devo fare le analisi del sangue (solo emocromo o anche formula – cioè 1 o 2 fialette di sangue – alternati).
Una volta al mese. Tutti i mesi. Da più di due anni.
Stamattina, programmando il weekend per far combaciare pranzo dai suoceri e cambio di stagione in armadio (siamo lungo la A4), ho detto una cosa tipo “beh è inizio mese, ho le analisi”.
E lui “ma le fai tutti i mesi?”.
E io “da più di due anni”.
[Prego notare la mia calma].
E lui “non avevo capito che fossero analisi ogni mese. Tutto questo è imbarazzante”.
Non l’ho soffocato perché Emi si era defilata e non avevo tempo di correrle dietro.
Non è che non mi capisce. È proprio che non mi conosce!

Le malattie degli altri

L’architetto è allergico alla polvere (e al pelo di gatto, ma meno) e sabato mi fa “è una reazione autoimmune, me l’ha già detto l’allergologo che il prossimo passo è l’interferone, ma io non ho intenzione di farmi un’iniezione al giorno”.

Partiamo dall’inizio: ma quale iniezione al giorno, scemo!? Al massimo sono tre a settimana! Ma dove schifo eri quando mi segregavo in casa il lunedì, il mercoledì e il venerdì, giorni di interferone? E dove schifo eri quando ti spiegavo che, se dovessi peggiorare nel periodo di sospensione da azatioprina per la gravidanza, potrei riprendere l’interferone, nella nuova formulazione che è o una volta a settimana, o una al mese [cambiano gli effetti collaterali – ndr]? L’iniezione giornaliera era di copaxone! Che è tutta un’altra storia, che ci mette 6 mesi ad andare a regime, che ti imploravo di stare con me (perché mi faceva male, eccome se faceva male) e invece mi mollavi da sola…

Secondo punto: non vuoi curarti? Bene, allora piantala di lamentarti. Sabato è stato un continuo “non ce la faccio più, sono stanco, vorrei fare a cambio con te”… seee col ciufolo. Se facessi a cambio con me, non fare l’interferone potrebbe portarti a sviluppare una secondaria progressiva (che in gergo significa “sedia a rotelle”). Lo vuoi davvero??

Oggi ha una gastrite fortissima, perché sabato NON era allergia, ma un colpo di freddo, e però s’è inzuppato di antistaminici e domenica sera ha bevuto un po’. Credete vada dal medico? No. Sta a casa a lamentarsi perché “non sa cosa dirgli”.

Io non so dove sbaglio: va bene che la mia sclerosi è benigna, che ho iniziato presto a curarmi e che ho buone prospettive (statisticamente parlando), ma mica sono rose e fiori!

Forse il mio errore è non pesare sugli altri, forse dovrei lamentarmi di più, far vedere che sto male di più invece di tenermelo per me, chiedere la disabilità, la 104/92, l’handicapp… Perché da come reagisce l’Architetto, sembra veramente che io abbia sbancato al lotto.

Insomma: a me la malattia è caduta in testa, e io mi curo. E, a costo di essere monotona, parte della cura è stata accettare questo lavoro che odio. Non volete curarvi? Bon, cavoli vostri: non mi fate pena.

Back to work

Giovedì ho ceduto e ho parlato al mio capo dei problemi che ho nel gestire il lavoro di Tino.
E prima di uscire ho mandato a Tino un’email dettagliata per correggere di nuovo un lavoro che ha da una settimana.
Ora ho una leggera gastrite.
Io lo odio il lunedì.

L’ascensore non basta

Ieri sono andata con mia mamma e AB a vedere una mostra sul Veronese a Verona. Perché noi siamo coerenti.
Tralasciando luci infelici e audioguida inutile, compresa in un prezzo oltremodo esagerato, quello che non posso non segnalare è stata l’assoluto menefreghismo per eventuali visitatori i disabili.
Ipotizziamo un visitatore in sedia a rotelle, che potrei benissimo essere io tra qualche anno. A parte l’ascensore, che c’era, segnalo che una persona in sedia a rotelle:
1) non avrebbe avuto modo di posizionarsi di fronte al quadro in modo da ovviare alla pessima illuminazione, perché le sale erano anguste, ingombre di divanetti e di strutture per l’esposizione dei bozzetti delle opere;
2) i bozzetti delle opere erano visibili solo standoci davandi in piedi, a causa dell’altezza dei ripiani e (ancora) dell’illuminazione, insomma solo essendoci sopra col viso, non sicuramente da una posizione seduta.
Non ho visto il bagno attrezzato, ma sicuramente non ho cercato bene.

Bello il virtual tour, bello il lettore di colori, bella la proiezione 3D tattile. Ma qui mancano le basi.

Una volta ho letto che l’unico modo per progettare qualcosa è farlo dal punto di vista del disabile: chi non lo è, potrà solo trovarsi la vita ancora più comoda.

Piccole illusioni quotidiane

Ci illudiamo.
Quotidianamente ci barrichiamo dietro una cortina di bugie e illusioni: ci raccontiamo delle storie che ci scusano, ci giustificano, ci consolano. Ci addolciscono l’amarezza della vita, che non è perfetta. Ci permettono di essere incoerenti senza soffrirne troppo.
Il che secondo me va bene: è umano e, entro certi limiti, non credo faccia male nessuno.
Io sono la prima a raccontarmi frottole. Cioè in realtà le racconto agli altri, ma io so qual è la verità. Cruda, meschina e dolorosa.

Va bene. Direi che va tutto bene. Ma non provate a darmela a bere.

Gli uomini sposano le more

George è capitolato.
E ha scelto un’avvocato, mora, col nasone (ma comunque bella).
E tra tutto il mondo, ha scelto Venezia.
Praticamente un’ode a me e a tutte quelle come me.
Noi non siamo potuti andare alla festa, l’architetto aveva mal di schiena, ma George ha capito e non ha dato a vedere di essersela presa. Che signore!

Intelligenti imperfette 1 – sgallettate 0.